Qui si trovano diversi scritti, un po' alla rinfusa, copioni teatrali e soggetti cinematografici, fotografie di scena e di laboratori di Teatro, interventi sull'Arte Drammatica, poesie e altre cose.
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Testi teatrali (copioni)
Il Teatro. Arte dell’azione, Arte della comunicazione emotiva.
Un articolo di Pino Gargiulo
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L’Arte Drammatica, vissuta dalla parte (normalmente rialzata e illuminata) dell’attore, del regista, del “fare teatro”, coinvolge l’intera persona, nella totalità delle sue componenti.
Dramma, infatti, significa (dal greco) “azione”…agire i sentimenti, gli stati d’animo, le riflessioni, le situazioni, mediante l’intera persona: il corpo, le espressioni del volto, i gesti, la voce e le sue sfumature, tonalità e dinamiche, la parola con quell’immensa ed inesauribile ricchezza che la caratterizza.
Con un’espressione sintetica ed efficace: l’Arte Drammatica è l’insieme di corpo, voce/parola e anima in azione; un’azione sinergica che potremmo schematizzare in tre fasi:
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La fase emotiva e personale, che avviene “dentro l’attore”, il quale individua gli stati d’animo nelle sue esperienze di vita, li evoca (= “chiama fuori”), li “tira fuori” da sé, per comunicarli sulla scena.
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La fase scenica, quella che avviene “dentro il teatro”, sul palcoscenico o in uno spazio scenico, con gli spettatori e con tutte le esigenze “tecniche” del caso: adeguato volume di voce, la corretta e chiara dizione, la necessità di interpretare (e non imitare) il personaggio, la comunicazione dei sentimenti, ecc.
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La fase emotiva-collettiva, quella che avviene “dentro lo spettatore”, che inevitabilmente, guardando lo spettacolo, è costretto a guardarsi contemporaneamente “dentro”, cercando in sé le assonanze o le distanze con quelle emozioni e quelle concettualità che vengono proposte sul palcoscenico.
Un teatro, nel corso di una rappresentazione, è luogo “magico” dell’emozione, dell’evocazione e della comunicazione ed contemporaneamente il luogo del godimento estetico (come ad una mostra di quadri o ad un concerto) e della ricerca intellettuale e morale. La magia che avviene a teatro è caratterizzata non da “trucchi” o “finzioni”, ma dalla “verosimiglianza”, cioè da ciò che genuinamente lo spettatore rintraccia, provocato dallo spettacolo, nello spettacolo stesso, nella vicenda del “personaggio” (interpretato dall’attore e dal regista) e dentro di sé, nella sua storia, nella sua esperienza.
Se ci si pensa bene, l'esperienza "drammatica" fa parte proprio dell'esperienza di crescita e di formazione di ogni individuo.
Essa attinge, essenzialmente, alla necessità di ognuno di "simbolizzare" e di "trasmettere" i propri sentimenti, la propria lettura della realtà esteriore ed interiore.
All'inizio si configura come "gioco": i bambini e i ragazzi tendono a "mettere in scena" - da simultanei autori-attori-spettatori - paure, speranze, fantasie e concetti, ma col passare del tempo, pur non perdendo mai la dimensione ludica e simbolica (come tutte le "arti"), essa assume la forza di metodo di analisi ed interpretazione di sé e dell'esistenza.
L'Arte Drammatica, poi, è un efficace mezzo di "comunicazione complessa".
Recitare significa scoprire e comprendere i molteplici canali di comunicazione che ognuno di noi utilizza normalmente, ma di cui non sempre siamo coscienti.
Recitare significa comunicare, "dire" di sé e del personaggio (diverso da sé), ciò che pensiamo, ciò che crediamo giusto o sbagliato, utilizzando contemporaneamente tutta la nostra persona: la parola, il linguaggio, il corpo, la gestualità, il volto, le mani... senza mai rinunciare a ciò che si è.
Recitare vuol dire anche fantasticare, ideare, inventare, comunicare a chi sta sul palcoscenico con me e a chi guarda (gli spettatori) tutto il "mio" mondo, il "mio" modo di sentire, di reagire, di giudicare, di interpretare.
Ci sarebbe ancora molto da scrivere per “entrare” nel mondo affascinante, difficile e “semplicemente” bello dell’Arte Drammatica, ma gli spazi di un articolo non permettono che pochi accenni. Voglio concludere con un invito, soprattutto ai giovani: fate teatro, provate a recitare, frequentate corsi, mettete in piedi (anche così, da “dilettanti” = provare diletto, gioia) uno spettacolo: è il miglior modo per provare emozioni “forti”, senza droghe, senza alcol, senza trasgressioni stupide… E, naturalmente, andate a teatro!
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La Festa in mio onore
Monologo poetico con voce didascalica
di Pino Gargiulo
(Un’ennesima variazione de “La Convocazione, ovvero L’album di famiglia”)
Avvertenza: Nella recitazione, le poche indicazioni di regia scritte tra parentesi quadre, oltre che da seguire per l’interpretazione, si debbono pronunciare come facenti parte del testo – Le parti in corsivo, relative ai movimenti dell’ “Uomo senza età”, agli oggetti scenici, alla luce e alla musica, non devono essere recitate oppure, meglio, possono essere pronunciate da una voce di giovane donna – piedi nudi, lunghi capelli sciolti e lunga veste bianca che lascia intravedere il seno - in scena da un lato. Possibilmente la donna suonerà anche la fisarmonica (dovrà saperlo fare mentre recita), altrimenti si potrà mettere un musicista in scena (meglio donna), sempre di lato, pure vestito di bianco (se donna, vestita esattamente come la donna della “voce fuori campo”), a piedi nudi. Estrema (ma più semplice) ratio: musica registrata.
La scena è vuota, tranne un appendiabiti sul quale sono appesi un soprabito chiaro e un cappello da uomo, a tesa larga. Un faro illumina bene l’uomo e l’appendiabiti. Se c’è in scena la giovane donna, un faro provvede ad illuminarla. Tutto il resto è in penombra.
La fisarmonica suona una sorta di nenia piuttosto veloce. Magari in terzine. In tonalità minore.
L’uomo senza età è in piedi. Indossa pantaloni scuri e camicia bianca, aperta sul collo e con le maniche arrotolate. Ha tra le mani un biglietto stropicciato. Lo legge. E’ sorpreso… poi diviene scuro in volto. Si rivolge al pubblico. Sorride per poi tornare serio. La musica si interrompe.
L'uomo
E’ giunto, infine. L’invito. Perentorio.
Non posso rifiutare.
Del resto… Me l’aspettavo… da tempo.
Dal primo giorno o dal secondo…ma poco importa… ora
ricordare i sogni non realizzati misurare i passi faticosi
e scarpe rotte e rotte giornate spezzate da intense gioie spazzate da impetuosi venti di vita e pianti e baci notti d’amore appassionate e grida di bambini “papà papà” abbracci stetti violenti schiaffi e pugni dolci carezze e deliziosi dolci ripieni di crema e cioccolato e stupide lacrime per negati appuntamenti per insufficienze a scuola per beffardi insulti di invidiati potenti e sonore risate i bagni al mare e al lago e barca vela controvento di bolina a sfidare il maestrale e camminate e corse in bicicletta al caldo sole e non fissarlo che fa male agli occhi diventi cieco perché la luce è forte!
La luce sull’uomo è diventata molto forte.
Alcuni lunghi accordi di fisarmonica – in tonalità minore e diminuite – dissonanti tra loro.
L’uomo senza età prende un paio di occhiali scuri e li inforca. Si guarda in giro, come stralunato. Torna a sorridere. Toglie gli occhiali e si stropiccia gli occhi per la troppa luce. Non sorride più.
La musica si interrompe.
L'uomo
Anche questi. Sono inutili.
(Chiude gli occhiali e li mette in tasca).
Poco importa… ormai
recriminare non ho avuto il tempo avevo tanti troppi impegni e non mi sono accorto che il corpo rallentava e vita accelerava senza criterio senza alcun rispetto dei limiti non c’è segnaletica vitale solo la strada da percorrer come pazzi spesso un po’ assopiti talvolta senza guidatore seduti sul sedile accanto oppure dietro a far la bella vita col frigo-bar da auto di grossa cilindrata a dimenticar con intenzione che ogni strada giunge in qualche dove e lì si scende tutti anche senza denaro per pagare. [Silenzio. Ansimando] Ora… è possibile… respirare. [Lunga espirazione].
Non avrò… più… tempo. Debbo sbrigarmi! Non porto quasi nulla.
Solo quel ch’ io sono e ciò che non ho amato. Oppure: ciò che mai fui e quel che molto amai.
E’ proprio vero che l’inferno lo costruiamo con le nostre mani e fors’anche il paradiso (che comunque c’ho dei dubbi in merito, ma sospendo il giudizio e… attenderei volentieri
per verificare).
La luce è forte. Ma oggi è giorno d’apertura e di visione.
E’ il tempo stretto dell’abbandono e dell’approdo.
Sì. La luce è forte. Tuttavia cieco non diverrò più di quanto sia stato normalmente ordinariamente quotidianamente caparbiamente ostinatamente pazzamente consapevolmente… in vita.
Anche con gli occhiali scuri.
Ora che vedo mi accorgo che sapevo e mi trovo a ripeterlo tutto d’un fiato [gridato senza respirare]: losapevoeccomeselosapevo! Ma non ci pensavo. O meglio, fingevo di non pensarci. Pensare di non pensare può essere più acuto pensiero – sopìto, forse – ma pur sem-pre vi-vo.
Or non è più tempo nemmeno di pensare a non pensare ed altri inganni simili.
Mi devo preparare.
Si alza il suono – acuto e lento, ma melodioso (una milonga) -, in tonalità minore, della fisarmonica, che continuerà - più sommessamente- anche durante il resto della recitazione.
L’uomo senza età srotola le maniche della camicia e ne allaccia i polsini. Prende una cravatta nera e la indossa, facendosi con attenzione il nodo. Indossa il soprabito, lo allaccia puntiglioso ed ordinato. Calza il cappello a tesa larga. Piega il foglietto e lo mette in tasca, quindi si mette in posa, con un sorriso rassicurante negli occhi. Per un attimo.
L'uomo
Questo è per la fotografia. [Sussurrato] Serve per chi resta e vuol dimenticare. In fretta.
E’ la prima volta
che vado malvolentieri
ad una festa in mio onore.
[la parte seguente NON VA RECITATA]
L’uomo senza età toglie il cappello, si sdraia supino, per terra, composto, gambe unite, tenendo il cappello sull’addome, con tutte e due le mani. La luce si alza fortissima, per poi spegnersi totalmente, di colpo. La musica continuerà nel buio per qualche secondo ancora. Un faro illumina la fotografia ingrandita e appesa ad un filo pendente dal soffitto, dell’uomo senza età (quella che ha fatto poco prima, con cappello in testa). Poi piena luce e silenzio di tomba. Tutti, compresi donna e musicista. sono immobili come statue. La luce cala molto lentamente fino al buio completo, mentre si sentono, da lontano, voci di bambini che gridano e cantano gioiosi.
Questo copione è tutelato dalla SIAE – sez. DOR.
L'angolo della poesia
SOLITUDINI
Quel coniglio di stoffa
se ne sta solo
sulla mensola
della mia stanza.
E mi guarda.
Io me ne sto dall'altra parte
solo
sulla mia mensola.
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Pino Gargiulo
Amarsi
E non ho più bisogno
d'immaginarti presente
-battiti accelerati
bollente rossore sul volto-
ad inventare scuse per negarti
alle mie appassionate mani.
Anche senza baci
dimenticati abbracci
e avide carezze,
anche senza passione
-trascorsi anni
consumate abitudini-
anche senza impeto
-rallentati sensi
capelli grigi-
non rinunciamo a soffrire amando
e, amando fino a morire,
risorgere e cancellare il soffrire,
guardando oltre l'armadio a muro,
oltre il divano letto,
oltre cucine e mensole affollate,
oltre le porte chiuse a chiave
e soffocati, ingiusti, inevitabili pianti di nervoso.
E quando gli occhi
ora accesi e vivi
lentamente abbasseranno il velo
ultimo sipario ultimo atto
senza applauso alcuno
e senza fischi
e luci calano
tendendo al buio totale,
alla penombra eterna,
a luce altra e nuova:
sarà l'Amore che ci ha uniti in vita
a governare baci,
dolci carezze,
nuove passioni eterne?
Non siamo che saette a ciel sereno:
lampeggia a volte anche col sole pieno
e senza pioggia o vento
a scandire muto
ogni momento.
Pino Gargiulo .
Naviganti improvvisati
Non abbiamo più bisogno
di imparare a navigare,
bonaccia è giunta prima del previsto
e non possiamo perfezionare
il nostro stile
l'arte del boma
e della vela,
nè studiare
i capricci del vento:
la piscina chiude,
il mare si ritira,
è in secca,
è divenuto un'arida salina
per la completa evaporazione
di cellule e organismi
vita apparente
apparente gioia.
La cava con acqua di riporto
ristagna
e marcisce
e puzzo emana
-fiato di morte incombente-
senza alcuna colpa apparente.
E noi,
-per lo più-
ci si accontenta
di navigare in acque imputridite
attenti a non immergere le mani,
senza orizzonte ampio da temere.
E' meglio la corporea certezza
che spesso riferisce di evidenze
in solida e sensibile emersione.
Di quello ch'è sommerso
non si pretenda racconto alcuno:
noi siamo naviganti improvvisati
e senza scienza,
che cosa v' inventate?
Volete forse che diciamo
degli inesplorati abissi?
Non ci è permesso
nè vogliamo farlo:
troppa è la fatica del racconto
e già sappiamo di non essere creduti.
Ognuno capirà,
-ne sono certo-
nel tempo del naufragio della vita.
Ormai non c'è più tempo d'imparare:
chi può si metta ai remi
e gli altri si arrangino a nuotare.
Pino Gargiulo